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martedì 18 aprile 2023

La mia casa


La memoria è abitazione di luoghi; partenza e ritorno; strade polverose, orizzonti di montagne, binari che attraversano deserti, viaggio nel tempo della storia dentro di noi. 

Osservare con particolare cura, guardare con occhi diversi dal consueto. Ieri pomeriggio, durante un laboratorio di narrazione autobiografica, ho ricevuto una sollecitazione di scrittura che mi ha fatto emergere emozioni inaspettatamente sopite e riflessioni feconde. Mi è stato chiesto di percorrere le stanze della mia casa e di scrivere le impressioni emerse, le sensazioni provate, quei luoghi della casa che amo di più o quelli che vorrei cambiare.

Percorrendo le stanze, attraverso una sensorialità capace di sviluppare cura e ascolto in grado di scoprire nessi e costruire ponti tra aspetti del reale, è nato un viaggio, che mi ha permesso di percorrere il passato e il presente di una vita, trascorsa in questa che è la casa della mia infanzia e ora della mia adultità. Ricordi fuggevoli e leggeri, lampi di memoria: i miei nonni, i miei cani, i miei genitori; la casa vuota e poi le feste con gli amici, le voci, i volti, quella finestra  che guarda sul cortile interno del palazzo da cui mio nonno si affacciava e che ora ospita le mie orchidee.

Un ricominciare ad ogni istante: la mia casa, un luogo che sa contenere il passaggio di generazioni, di storie attraverso le quali la vita si dispiega, un posto dove si incontrano memoria e futuro: le intuizioni dell'infanzia, la dolcezza della memoria che si arrampica a un universo di nostalgia e desiderio, di affetti familiari e valori archetipici. 

giovedì 13 aprile 2023

IL SILENZIO

Mi chiesero, un giorno, durante un laboratorio di scrittura autobiografica, di dire una parola sul silenzio. Si aprirono, per me, squarci di passato e quel senso di fragile inadeguatezza, che mi assalì in adolescenza e che mi portò a schivare il silenzio, a viverlo come un luogo di esclusione, nel quale vivevo l'esaltazione frustrante di quella mia instabilità interiore.  Il silenzio, a quei tempi, mi imbarazzava, poiché mi rimandava a quella mia incapacità di riuscire a dire qualcosa che fosse all'altezza della situazione.

Oggi, amo il silenzio quando si configura come una pausa, un segno nero sul pentagramma, una sospensione che annuncia qualcos'altro, un abisso da cui risalire, un antro da attraversare, un'isola mitologica su cui riposare. 

Il silenzio ha il suono squillante di una tromba, il sapore dei fiori d'arancio della pastiera, la primavera che fa capolino attraverso un germoglio. Il silenzio irrompe e fa rumore più di una preghiera solenne, tagliente come un rimprovero, dolce come l'accudimento di una mamma premurosa,


portatore di futuro, annunciatore oracolare di una fine che è già inizio. 

Leggere in viaggio


Portare un libro con sé. Sceglierlo con cura, tra quelli che sto leggendo, riporlo nella borsa, chiudere la porta di casa e andare via.
Piove a Roma; è mattina presto, il cielo dell'alba è di un intenso colore nero/blu venato di grigio e le strade bagnate da un'acquazzone di Aprile. E' Sabato Santo e io mi sto recando a Napoli per salutare San Gennaro, il mio santo popolare e magico a cui affido le mie preghiere e le mie speranze. 
Roma è bella osservata nel tragitto attraverso il quale mi reco alla stazione Termini. Ora la pioggia si è fatta meno intensa e i miei piedi percorrono svelti il marciapiede lastricato. Via Merulana, ancora buia popolata solamente dai fornai e dai baristi che cominciano ad alzare le saracinesche delle botteghe; laggiù in fondo si intravede Santa Maria Maggiore, imponente, regale, maestosa, illuminata dal chiarore di una luce sfumata e soffusa che proviene da angoli minuscoli di cielo che, un po', sono liberati dalle nubi. Sono in anticipo, perché, come mio solito, sono uscita molto presto di casa: proprio per camminare e percorrere il tratto fino alla stazione a piedi e poi per la mia sottesa ansia - riconosciuta parte di me solamente attraverso un lungo percorso di psicoterapia - che mi spinge ad arrivare sempre in anticipo agli appuntamenti. Così, questo mio incontro di oggi con il treno per Napoli, è divenuto occasione per passeggiare e guardare una Roma silenziosa, che quasi mai ho il piacere di godermi.
La stazione è animata: mi dico  che sono tutti in partenza e fantastico su ognuna della persone che transitano accanto a me; ci sono molti turisti stranieri che si sono venuti a godere il Bel Paese in primavera e tante famiglie o persone sole, che immagino ritornare a casa. Mi fermo ad osservare un uomo con il suo cagnolino e immagino si facciano volentieri compagnia.
I miei pensieri ora vanno al mio viaggio, al percorso che mi porterà alla città di San Gennaro. Il treno arriva di gran lunga in anticipo al binario e io mi avvio con un passo svelto, desiderosa di accomodarmi presto al mio posto. E così è. Fuori ancora piove: sento lo scrosciare della pioggia e mi rendo conto che si è infittita; dentro la stazione vedo gli ombrelli sgocciolare sul pavimento e la gente intorno a me vestita con maglioni di lana e cappotti...sembra essere tornati in inverno. Questi sono gli scherzi  che spesso Pasqua ci fa! 
Salgo sul treno. Mi accomodo, tolgo il cappotto e con un sospiro emanante  serenità continuo a guardare fuori dal finestrino, finché i miei occhi si stancano e il mio cuore ha bisogno di altro. Nella borsa il mio libro. Lo apro lì dove indicato dal segnalibro e scorro le pagine bianche e quei tratti neri che le popolano. Sono pronta a lasciare Roma e a immergermi in un'altra realtà. 
Mi farà compagnia fino a destinazione. Così intorno tutto si fa vago, una nebbia sempre più fitta si impossessa della carrozza del treno nella quale sono seduta; sento un profumo lontano di terra bagnata, trovo finalmente il sole che fa capolino, un cagnolino scodinzolante mi guarda con allegria; il vociare dei bambini si interrompe di colpo per lasciare il posto al suoni di una sirena; un quaderno bagnato ha le pagine ingiallite e una signora si adopera per adagiare comodamente la sua valigia sullo scaffale del treno. C'è un'armonia, un equilibrio leggero, il suono delle corde di una chitarra, un viaggio in un'epoca lontana, la luce che incontra il buio, la bellezza della natura che si integra con la dolcezza umana; la vitalità che gioca con l'amore e i mille destini degli uomini che si incrociano e si uniscono.la gioia e la tristezza che sono pieghe di un medesimo destino e la vita che va, va  su un battello che porta a un'altra sponda, una riva nuova su cui ormeggiare e fondare una nuova città; gli approdi sono tanti: sai tu quale scegliere; 
Napoli centrale. Fine del viaggio. 
Ripongo con cura il libro nella borsa. Mi avvicino all'uscita. 
Ha inizio un'altra storia. 

domenica 9 aprile 2023

IO E NAPOLI

 Percorrere le vie di Napoli e assaporare fragranze. 

Gli occhi mi costringono a una visione di insieme, a un tutto allargato che comprende molteplici immagini di un unico panorama. Il palato si sofferma: ha voglia di indugiare, di stare quieto per fermarsi nel piacere. 

Palazzi scrostati, erosi dai fenomeni atmosferici succedutisi nel tempo; corrosi dal passaggio della storia che, inesorabile, lascia traccia di sé. I vicoli, i mercati improvvisati, le grida del popolo che urla il suo posto nel mondo, sospeso tra quel forte appartenere a una terra espressione per eccellenza di ritualità mistica e profana, di un senso della magia che permea ogni strato dell'essere, terra di mezzo che si trasforma costantemente sotto i miei occhi e che ogni giorno mi mostra un diverso ritratto di sé. 

Oggi Napoli è un'anziana signora, formosa e autorevole, depositaria di tradizionale sapienza, accudente nell'accogliere i suoi figli nel suo grembo; matrona dignitosa, sacerdotessa custode di culti e riti pagani; maestosa nel suo abito da popolana, che ha i colori caldi della terra, bagnata dalla pioggia di Aprile, fredda e impetuosa. 

Ho attraversato le sue strade, emanazione di una città fedele alle sue tradizioni e alla sua apertura al mondo. Ho amato quella sua sfrontata malacreanza, quella sua irriverenza nel mostrare la verità, che entra nelle fibre del mio corpo, cercando di introdursi nelle mie vene per scalfire questa mia resistenza, quel mio ostico e ben radicato senso di un vivere eccessivamente metodico, preciso e scrupoloso. 

Il Vesuvio mi guardava, immobile e ribollente di silenziosa energia.

Il mare era cupo, alimentato dalla pioggia che non decideva di smettere di pulire l'orizzonte. 

giovedì 23 marzo 2023

UNA ASCOLTATRICE ALLO SPECCHIO

Sono una ascoltatrice attenta, o quasi. Sono attenta quando l'interlocutore è interessante e  il suo messaggio è veicolo di narrazioni autentiche.

Attenta ascoltatrice dei discorsi che si svolgevano nella mia casa, quando ero bambina; o
attenta ascoltatrice
quando ci aspettava un lungo viaggio in macchina, ed era bello per mia madre avere a  disposizione 
una uditrice incantata, quale io ero. Ero sempre stata l’ascoltatrice, quasi mai la narratrice. Vi prometto che sarò la più discreta delle ascoltatrici - affermavo, quando le mie amiche avevano bisogno di confidarmi un segreto intangibile e sacrosanto.Di recente era diventata una attenta ascoltatrice, abitudine strana, mi dicevano, per una giovane donna molto riservata, quale ero in adolescenza

Ascolto con attenzione chiunque si esprima con parole adatte ad evocare immagini, suoni, profumi o che alluda a scritture lontane nel tempo o a racconti rocamboleschi sui quali ho piacere di ridere. 

Pongo attenzione agli sguardi rivolti a me: prediligo, in chi parla, un particolare tipo di espressione dolce e accogliente; perché se solamente è indagatore mi paralizza.

Sono una ascoltatrice attenta, anche  e soprattutto quando non odo le parole; perché così le invento io.

Allora posso dirlo: sono attenta quando il mio interlocutore è interessante. Altrimenti, ritorno a perdermi nel tortuoso percorso della mia fantasia di sognatrice, di una Dante al femminile, che ride cullata dalle onde che profumano di mare.

Soltanto allora si accorse che aveva parlato di fronte a un semicerchio di silenziose ascoltatrici.


venerdì 10 marzo 2023

Quella curiosità verso i libri


Sta per cominciare una nuova giornata di marzo.

Dalla finestra guardo il cielo plumbeo, striato del grigio del piombo e carico di luce appannata e già stanca.

Non sento odore di pioggia e immagino già che tra qualche ora un raggio sottile di sole allungherà il suo braccio dorato verso di me.

A dirla tutta, sono qui a mirare assorta il cielo, perché un mio allievo stamane non si è presentato alla nostra consueta lezione di storia dell'arte e un po' di riflessiva malinconia si sta impadronendo di me. Riflessiva purché sia fruttuosa e veritiera rispetto ad analitiche considerazioni sull'insegnamento - sulla mia personale modalità di insegnamento - e sulla cultura, sull'arte, su quella folle e affamata curiosità che mi ha contraddistinto dall'infanzia; considerazioni personali e intime su quel primario, fondamentale gesto del  prendere la penna in mano, che per me rimane il simbolo indiscusso, essenziale della mia personale libertà.

Educazione rigida, rispetto estremo ed estenuante delle regole...quelle degli altri; i miei genitori - che sono la rappresentazione di quella fascia di immigrati che negli anni Sessanta dal Sud Italia si sono trasferiti nel centro Nord - giunti a Roma dalla campagna del Meridione hanno vissuto fino ad un mortificante stremo quella precaria sensazione di sentirsi nel ventre basso del mondo, perché non erano adeguatamente istruiti. E questo - loro malgrado - mi hanno trasferito nelle vene, nutrita, come sono stata, da gente che di libri ne aveva letti pochi. 

Mia madre, in particolare, mi ha trasferito la gioia sottesa all'apprendimento, la curiosità di una bambina spettinata che a 10 anni è andata a bottega. Questo suo sacrificio, che l'ha portata a diventare una sarta esperta e molto apprezzata, l'ha pagato caramente a livello emotivo e lo ha ripiegato su di me attraverso quella ossessiva soggezione dell'altro. 

Quel suo senso di inadeguatezza nel mondo e questo mio sentirmi smarrita e persa in una società che non comprendo: l'ho ereditato da lei. 

Questa penna - oggi e sempre - e questo mia insaziabile curiosità e amore per i libri e le storie l'ho preso da lei. Facce di una stessa medaglia; opposti conciliabili solamente sula terreno seminato e fiorito della cultura. 

lunedì 9 gennaio 2023

UN NATALE

Sono stati giorni pieni di luci, bianche, dorate; di scatoline decorate di rosso con alberi di aghi verdi e palline dai colori caldi di fuoco. Giorni trascorsi a degustare cibi appetitosi, simboli di una tradizione che ci riporta all'infanzia, o ancora oltre, alle origini, a un nucleo, un centro dentro di noi che sussulta quando queste succulenti pietanze trovano, diffondendosi attraverso le papille gustative, un piacere profondo e libero.

Sono stati, tuttavia, anche giorni di riflessione, di contatto con me stessa, che spesso il tempo convulso della realtà fluida che viviamo non mi consente. 

E' incredibile come oggi sia una giornata senza vento, con il cielo grigio, piatto, sopra di me, testimone di narrazioni oniriche del mio essere. 

Ci sono voluti molti, molti anni per capirlo, il Natale.

Quell'essenza autentica, vera nostalgica, era il Natale a via Giulia con i miei nonni, rievocata dal sapore degli struffoli e dall'odore di un camino. 

Era il Natale. Quello per eccellenza. Quello favoloso. Quello che mi riscaldava e mi faceva sentire parte di una famiglia che mi amava.

E' il Natale che dentro me rievoco sempre, a cui ritorno tutte le volte che mi sento una donna che cammina isolata, nella ricerca di quella famiglia, che già sfuma realmente e che tuttavia continua a inseguire, tenace e ostinata; una famiglia che ora non si fa più prendere, lasciando il posto a un nuovo futuro libero e audace, per quella donna che


, intrappolata nella nostalgia, ancora non sa goderne.

venerdì 16 settembre 2022

Trase 'e sicco e se mette 'e chiatto

Camminavo per Viale Giotto.

Una mattinata umida di Settembre. Roma si era vestita con i suoi abiti di popolana, anziana signora seduta comodamente ad ascoltare i suoni della strada e il tramestio delle sue case popolari fatte di pietre rosse, e con lo sguardo proteso verso la Piramide di Caio Cestio. 

Mi piace passeggiare lì perché mi sembra che nel cuore di Roma viva il popolo con quella sua spontaneità nutrita di creativa sopravvivenza e quel senso di vivere alla giornata, che tanto sa di un passato ormai concluso e di una umanità che così non sa esistere più.

Ripenso alla mia famiglia di origine, alla saggezza dei miei nonni, a cui la strada fu maestra e a mia madre che di quell'apprendimento intuitivo ne fece la guida della sua vita.

Quando ero bambina mia madre mi insegnava i proverbi napoletani. Spesso accadeva in ascensore, ovvero quando rientravamo a casa per la pausa pranzo dal lavoro del negozio. Ricordo che li gettava lì, in campo, e a me si aprivano finestre su universi immaginati reali e fantasiosi, che evocavano quelle parole scandite in un dialetto melodico e sibillino. A esso seguiva la traduzione in lingua italiana, fatta da mia mamma stessa; ma fino ai miei 4 anni circa, perché poi non ce ne fu più bisogno, perché lei sapeva bene che quel dialetto era diventata per me un'altra lingua, che io oramai riuscivo bene a tradurre ma che assolutamente mi rifiutavo di pronunciare (ma questa è un'altra storia, di cui parlerò più in là). 

Trasi 'e sicco e se mette 'e chiatto racchiude la descrizione di piccoli meccanismi chiave della vita vissuta. In italiano significa letteralmente "ti proponi con un apparente garbo, che in realtà rivela un'intenzione di prepotenza". Mi madre lo usava molto, perché è un proverbio che fa leva su un buon senso di relazione, che lei esperiva quotidianamente nel suo negozio, che era spazio di confronto sociale. Questo era l'apprendimento intuitivo di mia madre, che si nutriva di scintille di lungimiranza e di acuta intelligenza. 

C'è una misteriosa elezione che io ho per questo suono dialettale, in quanto era usato correntemente nel nostro privato familiare, in particolare dai miei nonni, che riproponevano una speciale interpretazione. Tutto questo ha creato un mondo di conforto magico a tutta la mia infanzia. 


lunedì 6 giugno 2022

Le storie III

Dalla finestra della cucina sentivo un canto lontano. Cercando di distinguerne le parole, provai un senso di smarrimento. Giunse, infatti, il ricordo di una finestra della mia infanzia, la cui visione parziale all'esterno - era chiusa da fitte grate di ferro - mi permetteva di immaginare contenuti di luce nelle parti d'ombra; roteando, poi, la testa così da poter posare lo sguardo sulla realtà di differenti spazi, cercavo di inglobare con gli occhi tutta la visione del giardino circostante. 

La storia della mia prima infanzia è il racconto di una bambina a Via Giulia. 

La voce di mia nonna si perdeva in un lieve mormorio, quando ero fuori, in cortile, nel palazzo di cui mio nonno era custode, alla fine degli anni Settanta.

La udivo lontano mentre era in cucina e io, fuori, assorta in una attenta esplorazione attraverso la quale scrutavo i segreti degli abitanti di quello che - per me bambina - rappresentava un regno governato da un marchese e abitato dai suoi sudditi.

Tutto questo ha a che fare con le storie narrate da mia madre, che si intrecciavano con la geografia di quei paesaggi reali che incrociavo quotidianamente e la storia di quegli appartamenti ai quali era permesso accedere solo a mio nonno.

Si dice di un narrare intorno al fuoco, che dà colore e luce alle parole. Il verbo narrare mi rimanda alla mente l'immagine di un gomitolo, di una matassa di filo che si dipana, morbido, lungo un percorso che siamo noi a creare.

Mia madre era una autentica artigiana. Una sarta per donne che cuciva con esperta maestria; un'arte partorita da una certosina abilità acquisita da bambina. Come maneggiava le stoffe, che tra le sue dita prendevano calore e nuova forma, così era una fantasiosa cantastorie. Tale sua innata caratteristica fu acquisita per imitazione ed emulazione del mondo magico evocato dalla madre, mia nonna. 

In totale controtendenza rispetto alla cultura odierna, questo aspetto delicato, poetico dello stare al mondo di mia nonna e di mia madre, tramandato attraverso le loro storie, rappresenta l'accogliente fragranza di una memoria matrilineare che  godo nella dimensione tra sogno e realtà. 

Questa


per me è la scrittura. 

domenica 24 aprile 2022

Le collane Yoruba

Ho ricevuto in dono delle collane realizzate con perline colorate.

Vengono dall'isola di Cuba.

Sono delicate e di una fine consistenza; lunghe fin oltre l'altezza del petto, sono talmente fragili che riservo loro, nel contatto, una appropriata delicatezza.

Ne deduco che non sono solo un accessorio di adorno, bensì emendatrici di una dimensione esoterica e misteriosa, in quanto la brillantezza inalterata delle perline di vetro colorato genera di per sé una vibrazione che è quella del colore stesso. Inoltre, scopro che ogni colore appartiene ad un Orisha reggente, che va dalla nascita del tutto, alla sua azione determinante nella materia, che ha accompagnato via via una intera etnia, attraverso l'entità del proprio colore, in tutta la sua realizzazione spirituale. 

Tali collane sono portatrici di attributi, di sfumature di pensieri, attitudini e qualità. 

Quando l'ho ricevute in dono, mi è stato spiegato che la motivazione del loro diametro è tale da permettere che possano essere indossate attraverso la testa, in senso altamente simbolico; che, in questo caso, ha il significato di ingresso alla dimensione che rappresentano, cioè quella dell'Orisha tutelare e patrono di una determinata attitudine. Dalla prima volta che vengono indossate - come nel battesimo -  si suggella una relazione con le dimensioni parallele. 

Queste collane, così apparentemente delicate, hanno il compito di incarnare una magia archetipica che è dentro ognuno di noi, se solo abbiamo la pazienza di accettare che possa esisterne la sua cura, per farci comprendere che la vita è uno studio continuo. 





domenica 17 aprile 2022

La Pasqua

Mi piacciono le vetrine dei negozi decorate con uova pasquali dai colori pastello. Hanno i toni della primavera, manifestazione gioiosa di una rinascita perpetua che tutto rinnova costantemente.

Quando ero bambina della Pasqua mi piaceva quel senso di passaggio da uno stato all'altro, quelle ombre che si trasformavano in luce e quel sentimento funebre di perdita che preannunciava una festosa serenità. 

Mi sono sempre immaginata una persona di passaggio: di passaggio quando lavoravo in ufficio; di passaggio quando studiavo all'Università o con le amiche o quando andavo a ballare. Pervasa da quel senso di precarietà permanente per il quale non mi sono concessa quel restare, quel dire: sono qui! Ci sono! 

Fin da piccola pochi sono stati i luoghi o le situazioni nei quali rimanevo, ferma nell'autentica espressione di me. 

Uno di questi era il negozio di frutteria dei miei nonni.

Posso affermare con certezza che quel negozio fu il primo luogo che vidi immediatamente dopo l'ospedale in cui nacqui, perché fu il primo posto in cui mia mamma mi portò quando la dimisero dopo il parto. E lì passai tutti - e dico tutti - i giorni della mia vita fino ai 35 anni, quando venne chiuso. Rappresentò lo spazio privilegiato del mio stare al mondo, che proprio lì appresi: dalle storie della gente, dalla sapienza contadina di mia nonna, da quell'esigenza di essere regina di mia madre, dalla partecipazione, seppur silente, di mio padre, da quell'infantile irresponsabilità di mia zia. 

Lì ero e lì potevo essere. E lì la Pasqua - che aveva inizio già una settimana prima del giorno deputato dal calendario - la trascorrevamo a preparare vetrine decorate con frutta fresca e colorata di stagione, con uova pitturate in bella vista, con minestroni abbondanti e bevande fresche. E i giorni del giovedì e del venerdì santo, con quel senso diffuso di raccoglimento e offuscata tristezza, erano il preludio di quel trionfo di sapori e cupidigia, pronti a rinascere nella libertà della propria essenza, con popolare gioiosa autenticità. 

Ricordo, oggi, con nostalgia, quella spontanea ruolizzazione tribale, che era tutta la mia famiglia e quella Pasqua rappresentava l' occasione di confermare ogni volta  la mia appartenenza. 

Adesso che, attraverso lo spazio incantato e silenzioso della scrittura, riesco ogni momento a evocare quella vivida partecipazione, permettendomelo tutte le volte che necessito, mi godo la forza creativa del mio stare in bilico, fluttuando nella delicata sospensione che tratteggia i


momenti della mia vita. 




venerdì 15 aprile 2022

Mia madre e i libri II

Sono nata di domenica pomeriggio.

Tale evento, assolutamente fortuito legato al momento del mio travagliato apparire su questa Terra, influì, secondo mia madre, a determinare l'energia e la modalità con cui avrei affrontato la vita.

Sempre secondo mia madre, la quale - originaria di terra popolata da streghe appartenenti al mondo agreste e contadino e che, quindi, non era estranea a leggende di incantesimi e fatture - credeva fortemente nella lettura degli astri e in alcuni segni onirici che più di altri a suo dire erano maggiormente influenti sulle nostre esistenze di mortali, venire al mondo di domenica pomeriggio aveva l'accezione di contenere l'impronta di persona comoda, lenta, amante della tenue calma e della docile tranquillità; persona che tira via la vita con indolenza e pigrizia. Fu così che si arrese fin da subito a coinvolgermi in questioni domestiche e quasi per voler di fato che quell'indole mi aveva imposto, cominciai ad essere considerata la letterata di famiglia. Ovvero quella persona a cui non potevi chiedere di accendere il gas sotto la pentola per far bollire l'acqua della pasta, perché, avrebbe fatto bruciare pentola, coperchio e l'acqua stessa. 

Non so se mia madre, con quel suo modo magico di stare al mondo avesse intuito qualcosa di me che ancora oggi io stessa non so; non so se spinta da questa sua credenza o forse da una mia indole e predisposizione che la natura mi diede e che lei intuì, io veramente crebbi amante dei libri, della scrittura e, per parecchi anni della mia esistenza, non mi interessai affatto a questioni domestiche.

In realtà, altresì, questa mia predisposizione per le narrazioni si intrecciò fittamente con l'ambiente domestico e femminile della mia casa: la cucina, che, negli anni, fu il luogo che maggiormente amai quale spazio


per approfondire le mie letture e per restituite quelle letture, attraverso mia madre, al suo focolare terrestre. 




lunedì 7 marzo 2022

Un sogno


Scorre il giorno nell'ossessione di certi pensieri,

non alzo lo sguardo al cielo 

e la luna ieri sera era uno spicchio splendente di luce.

E' la paura che costringe le gambe a paralizzarsi e tiene avvinghiate le caviglie al suolo, come legate da fili di melma appiccicosa. 

Guardo a terra. Un acquitrinio ai miei piedi. 

L'acqua stagnante e putrida mi riflette un'immagine di me scapigliata.

Sono già nell'abisso, scendo in un lago gelato e lurido, dove si specchia ciò che di me non voglio guardare. 

Sono bloccata.

La mente parla, parla, parla. 

Le energie vengono meno.

Risalire mi costa fatica.

Rimango fissa sulla discesa ripida.

Confessioni di me stessa al cospetto unicamente di me.

Autentica verità che si svela mostrando il suo volto butterato di livide pustole.

Con una spugna cerco di toglierle via.

Certi vuoti rimangono, insieme al silenzio dei morti, che esigono rispetto. 


sabato 19 febbraio 2022

Un sabato mattina

Una mattina di sabato e dal balcone guardo le mie piante, a cui dedico cure costanti, erigersi fiere, innalzando i loro timidi fiori, germogli di Febbraio, verso il sole tiepido di Carnevale.

Oggi mi sembra di guardare il mondo diverso. Una semplice risposta, una conferma hanno fatto schioccare dentro me una felicità condensata, esplosa, attivata.

Si festeggia al bar. Il mio cane, il mio compagno e il sole che ci affianca. Due caffè e intorno a un tavolino nascono discorsi, idee e naturali slanci del meritato benessere. 

Quando le cose funzionano si formulano riflessioni in maniera diversa.

Ci raggiunge un amico del quartiere; prende una sedia, si siede e i discorsi hanno uno slancio nuovo, altre direzioni: un cambiamento di casa, la settimana bianca, la vita con i nostri cani.

Intanto il sole allunga i suoi raggi e illumina metà del viso del mio compagno. Il mio cane anziano si distende meglio sotto il timido raggio che gli riscalda le zampe. Annusiamo la primavera, che si annuncia attraverso i fori gialli e piccolissimi di un albero di mimosa che cresce selvaggio dall'altra parte della strada. E io che ritorno con il pensiero alla lezione di ieri, all'incontro con uno scrittore, che mi ha donato un pomeriggio parlando di una scrittura che si accompagna all'autenticità, anzi che nasce proprio dallo scavo interiore, dall'abbassamento di sovrastrutture, dall'essere qui e ora connessi con il vero senso di sé. 

E allora, eccomi, a casa, alla mia scrivania. Ricordo le mie mattine di tanti anni fa, quando ero studentessa di Lettere e la necessità di lasciare le mie riflessioni su un foglio bianco era la gratificazione di lasciare un'impronta che sentivo eterna.

Andare giù giù giù, scavare per recuperare dalla memoria ricordi rimossi e quell'essenza profonda, selvaggia, autentica, genuina di sé che per anni ha albergato nei miei archivi, E la scrittura improvvisamente mi ha messo in comunicazione con questo bagaglio, che ancora ha bisogno di uscire, di stare nel mondo fuori di me per portare la sua voce.