C'è, in una stradina adiacente alla via nella quale abito, una casetta di legno che ha il tetto rosso, come quello delle fiabe. E' una casetta con una porticina senza serratura. E' la casa dei libri, uno di quei luoghi che sono di passaggio, di confine verso un mondo "altro" possibile e immaginato.
Mio padre, tornato da uno dei suoi viaggi, mi ha riferito, una mattina, sorseggiando una tazzina di caffè bollente, che aveva scoperto, proprio dietro casa, l'esistenza di un posto dove i libri si possono lasciare e si possono prendere, così semplicemente. Ed era entusiasto di quella sua personale scoperta, sorridendo ammiccante al pensiero di un luogo nel quale la proprietà è privata ed è di tutti, dove il genere, la razza e la lingua espandono i loro territori incastrandosi nella geografia di altri mondi. Da quella casa, immersa in un'isola bagnata dall'onda di una marea che si alza e si abbassa entro i luoghi
di un'immaginabile che diviene realtà, mi ha consegnato due libri su una Napoli capitale di un regno concluso, dormiente su quella sua affascinante decadenza e quella sua genialità che è africana, araba, spagnola e mediterranea nello stesso momento.
Di nuovo si aprono le porte della scrittura, del paese dei balocchi e dell'invenzione, del sogno e della pulsione, dove la libera incandescenza de inostri desideri giace sotto le ceneri di un Vulcano sempre attivo.