Percorrere le vie di Napoli e assaporare fragranze.
Gli occhi mi costringono a una visione di insieme, a un tutto allargato che comprende molteplici immagini di un unico panorama. Il palato si sofferma: ha voglia di indugiare, di stare quieto per fermarsi nel piacere.
Palazzi scrostati, erosi dai fenomeni atmosferici succedutisi nel tempo; corrosi dal passaggio della storia che, inesorabile, lascia traccia di sé. I vicoli, i mercati improvvisati, le grida del popolo che urla il suo posto nel mondo, sospeso tra quel forte appartenere a una terra espressione per eccellenza di ritualità mistica e profana, di un senso della magia che permea ogni strato dell'essere, terra di mezzo che si trasforma costantemente sotto i miei occhi e che ogni giorno mi mostra un diverso ritratto di sé.
Oggi Napoli è un'anziana signora, formosa e autorevole, depositaria di tradizionale sapienza, accudente nell'accogliere i suoi figli nel suo grembo; matrona dignitosa, sacerdotessa custode di culti e riti pagani; maestosa nel suo abito da popolana, che ha i colori caldi della terra, bagnata dalla pioggia di Aprile, fredda e impetuosa.
Ho attraversato le sue strade, emanazione di una città fedele alle sue tradizioni e alla sua apertura al mondo. Ho amato quella sua sfrontata malacreanza, quella sua irriverenza nel mostrare la verità, che entra nelle fibre del mio corpo, cercando di introdursi nelle mie vene per scalfire questa mia resistenza, quel mio ostico e ben radicato senso di un vivere eccessivamente metodico, preciso e scrupoloso.
Il Vesuvio mi guardava, immobile e ribollente di silenziosa energia.
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