Giornata di pioggia, umida, un cielo grigio compatto su Roma. O, almeno, su quella zona di Roma che io abito da quando sono nata: Porta Metronia.
Mio nonno diceva che, uscendo dal portone di casa, su Via Gallia, girando lo sguardo a sinistra c'era San Pietro e il mal' tiemp' che veniva da lì veniva dal Papa. Volgendo, invece, lo sguardo verso destra, lì il sole o la pioggia avevano la loro origine a Napoli. E, allora, secondo lui, la meteorologia poteva assumere un valore nuovo, simbolico e sociale.
I miei nonni venivano dalla provincia di Benevento, emigrati a Roma negli anni Sessanta.
Quella particolare dimensione di emigrati caratterizzò - da che io ricordi - la conversazione di ampia parte della mia famiglia, che si è andata caratterizzando, fino alle successive generazioni, per quella incapacità di esprimersi in un linguaggio comprensibile che riuscisse a nominare quel senso di sradicamento forzato di chi lascia la sua terra per un luogo altro.
Ogni mattina, quando dedico parte del mio tempo alla pratica della scrittura, non so mai dove essa mi porterà. Tutto può avere inizio con una sensazione legata al tempo atmosferico e poi concludersi con un divagare, ricordando, il luogo sicuro, dolce di amore incondizionato che è l'eredità più profonda che i miei nonni hanno riservato per me. Un testamento che non si è servito di parole; piuttosto è stato un passaggio di consegna, un testimone che orienta e traccia una linea di
ritta per terra, al passaggio, che aiuta a non inciampare quando il terreno si fa sconnesso.
Stamattina, al mercato, ho comprato una piantina di ranuncolo giallo.
Aveva il colore del sole, come lo dipingono i bambini.
L'ho appoggiato sul davanzale di casa.
Ho annusato il suo colore, così folle di energia.
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