Mia madre, mia nonna erano narratrici.
Sono cresciuta ascoltando le loro storie. Erano le storie di vita quotidiana, biografie di persone viventi o defunte, aneddoti sospesi tra il reale e l'immaginario.
E io bambina ascoltavo e ri-ascoltavo quelle narrazioni, che appartenevano alla cultura, al sapere profondo dei miei avi.
Mia madre mi raccontava storie che appartenevano al passato, attraverso il suo personale modo di riviverle e di ricostruirle. Era il nostro modo di dialogare, di condividere quel suo prezioso patrimonio costituito dai racconti popolari. Mia madre era una cantastorie, perché riteneva che quelle sue narrazioni fossero intrise di istruzioni che mi avrebbero guidato nella vita.
Dall'adolescenza in poi anche io ho seguito le sue orme, in maniera differente. E questa esigenza di narrare che avvertivo come bisogno primario di pratica quotidiana, si trasformò nell'esigenza di narrare i libri che leggevo.
La prima mia interlocutrice fu proprio mia madre. Per noi divenne una abitudine esclusiva, che si tramutò in incontri magici, che avevano inizio con la lettura di brani e terminavano in lunghe riflessioni che ci vedevano dibattere per parecchie ore.
Le storie e i libri sono stati il collegamento tra memoria autobiografica e ricerca interiore.
Le storie e i libri mi hanno abituato all'ascolto della connessione tra passato e presente, attraverso un viaggio che suggella l'amore per la parola, appartenuto a me da sempre.
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